Contesto l’applicazione della terminologia “oggettivo” o “obiettivo” a qualsivoglia metodica di indagine primariamente psicologica, psichiatrica, psicodiagnostica (sia essa clinica, relazionale, osservativa, testistica ecc.).
A meno di non voler ricadere nel “comportamentismo metodologico”, ovvero l’osservazione formale del comportamento in assoluta astensione dall’inferire alcunché sul vissuto soggettivo e sulle dinamiche psichiche: questa sarebbe però “scienza del comportamento”, non psicologia.
Di conseguenza, ritengo non esista alcuna tecnica di indagine psicologica (propriamente detta), nell’ambito della clinica della salute mentale, che possa fregiarsi di qualsivoglia obiettività.
Ciò vale esattamente allo stesso modo anche per quegli strumenti e test psicologici che dispongono di un corredo quantitativo e statistico per l’analisi e l’interpretazione delle osservazioni (ad es. prove neuropsicologiche, scale Wechsler, questionari multiscala tipo MMPI, Comprehensive System di Exner, etc): si ricorda a tale proposito che la formalizzazione delle procedure di scoring e l’applicazione di griglie quantitative ai dati raccolti, sono passaggi utili solo a facilitare l’organizzazione delle osservazioni ed il ragionamento clinico, ma non rendono magicamente “oggettivi” dei dati che restano sempre soggettivi e frutto della relazione con l’osservatore e della situazione nella quale sono stati prodotti.
Se dal lavoro dello psicologo si tolgono la soggettività e la relazione con l’osservatore, si è tolto tutto e non resta che vuoto formalismo privo di qualsiasi validità e utilità: «Nel caso della coscienza, possiamo compiere una riduzione causale, ma non possiamo compiere una riduzione ontologica senza venir meno alla ragione per cui utilizziamo il concetto. (…) lo scopo principale per cui utilizziamo il concetto di coscienza è cogliere le caratteristiche soggettive, della prima persona, del fenomeno, e questo scopo viene meno se ridefiniamo la coscienza in termini oggettivi, di terza persona» (J.R. Searle “La Mente“, Raffaello Cortina 2005, pag. 108).
La riduzione della psicologia ad oggettivo, è una pretesa tanto ingenua, quanto follemente sostenuta proprio dalla stessa maggioranza degli esperti di salute mentale (forse per collettivo complesso di inferiorità verso le scienze hard?), i quali dimostrano di non sapere neppure dove stia il proprio tesoro.
Psicologia vs. psichiatria
Su questa materia, non vi sono inoltre motivi per sostenere alcuna differenza tra psicologo e psichiatra, in quanto essi applicano le stesse procedure di indagine e accedono alle stesse conoscenze scientifiche sulla psicopatologia. La pretesa di alcuni, per cui la psichiatria godrebbe di uno status scientifico più oggettivo solo in quanto “medica”, è infondata, culturalmente imbarazzante e spesso pretestuosa; i due campi sono separati solo per le prassi di intervento consentite e per una diversa tradizione nel porre accenti ed attenzione su piani differenti, mica sono però scienze distinte. Psicologia e psichiatria fanno parte entrambe ed allo stesso titolo delle scienze naturali e biologiche (cfr. J.R. Searle 2005, op. cit.).
Vi sono certamente altre tecniche mediche di indagine sulla psiche e sul cervello che possono (forse) essere davvero definite oggettive, ma non sono quelle primariamente psichiatriche, ad esempio alcune indagini neurofisiologiche o di neuroimmagine (producono informazioni di cui anche lo psicologo e lo psichiatra si avvalgono, ma non sono quelle proprie delle scienze della psiche). Lo stesso invece non è mai possibile, per le osservazioni che emergono nei setting primari dello psicologo o dello psichiatra forense: il termine “esame psichiatrico obiettivo” è un ossimoro.
Il senso e l’utilità delle scienze della soggettività nel processo
Quanto finora detto, non significa ovviamente che psicologia e psichiatria non siano discipline scientifiche, esse rientrano invece a pieno titolo tra le scienze naturali e biologiche, svolgendo il ruolo di scienze sistematiche dello studio della prospettiva soggettiva, o delle c.d. “ontologie in prima persona”, che sono epistemologicamente irriducibili ad oggettività (cfr. J.R. Searle, 2005, op. cit.). Gli scienziati della psiche non si dispiacciono affatto di non pervenire ad oggettività, il nostro fine conoscitivo ultimo è la soggettività (si veda ad es. l’opinione di Umberto Galimberti). La coscienza esiste, ed è pure parecchio interessante.
Ai nostri committenti (giudice, avvocato, servizi) si ricorda che, anche nel processo, i professionisti della salute mentale andrebbero consultati proprio come esperti dello studio della soggettività. Richiedere oggettività nelle nostre valutazioni, corrisponde a pretendere la lettura esterna del pensiero. E’ illusorio ed insensato; sarebbe come avere in casa un rubinetto che gocciola, chiamare l’idraulico e chiedergli però di usare la chiave inglese per tinteggiare le pareti.
Il consulente tecnico che dichiari, al contrario, di poter soddisfare una richiesta di oggettività pura in psicologia o psichiatria, dovrebbe allora essere considerato con sospetto, in quanto probabilmente non conscio dei limiti epistemologici della propria disciplina e più vulnerabile ad errori nella diagnosi e nel ragionamento medico-legale e criminologico. A dire il vero, credo sia capitato a tutti noi qualche volta di spergiurare sull’oggettività della nostra scienza, bisogna pur mangiare, e poi vallo a spiegare al giudice che per John Searle esistono anche le scienze non oggettive: poco male, se poi si opera con criterio, il problema sono tutti quei consulenti che invece ci credono sul serio. Pensano di ridurre l’irriducibile e oggettivizzare l’inoggettivabile.
Non sarebbero comunque molti i quesiti peritali che possono essere integralmente soddisfatti per mezzo di un esame tomografico del cervello o di un esame del sangue, strumenti medici oggettivi che in tali casi vanno applicati con convinzione, da chi ne abbia competenza. L’utilità forense del consulente psicologo o psichiatra resta dunque indiscutibile e moderna, in quanto è legata alla necessità della giustizia e della criminologia di affrontare molto più spesso anche la prospettiva puramente soggettiva (intenzionalità, vissuti, motivazioni, incapacità, sofferenza ecc). Il processo interamente “oggettivo” è una bizzarra chimera, coltivata purtroppo da molti; ben vengano invece la prospettiva individuale, la fenomenologia e l’ermeneutica, laddove ancora possono essere utili alla formazione del convincimento.
Il fatto che spesso della soggettività nelle perizie se ne sia abusato in modo improprio, va certamente criticato con fermezza e limitato nelle prassi, ma non cancella mica il bisogno della Giustizia di prospettive soggettive, né deve indurre ad affidarle ad altri che non gli esperti specificamente formati nelle scuole psicologiche/psichiatriche.
Ritengo sia materia fondamentale per la psichiatria forense e la psicologia giuridica, invito i colleghi alla discussione, soprattutto se in disaccordo o se sono in grado di segnalarmi tecniche primarie di indagine psichiatrica o psicodiagnostica, che possano essere davvero considerate oggettive in senso epistemologico.