Cassazione 9163/2005 e l’onere della decisione sull’incertezza psicologico-giuridica

4 marzo 2008

Il 21.06.2007 ero a Tortona, presso il Circolo di Lettura, invitato come relatore ad un convegno organizzato dal Lions Club:

Capaci di volere il male – Le capacità penali tra diritto e psicopatologia“.

Partners: Magellano scs, SLOP, Ordine Avvocati e Procuratori di Tortona, Camera Penale della Provincia di Alessandria, Il Leone e la Rosa.

Ho svolto la mia relazione a braccio e sorvolando qualche passaggio per rientrare nei tempi, invariabilmente tiranni. Non dispongo dunque del testo del mio intervento, ma pubblico di seguito la traccia che mi ero scritta per questa occasione.

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Il convegno a cui oggi partecipiamo, è incentrato sulla nota sentenza 9163/2005 delle Sezioni Unite della Cassazione, che l’avv. Tava [nota: il relatore precedente] ci ha appena presentato. Vorrei spendere adesso qualche parola in favore di essa, ma anche condividere una preoccupazione. Di sicuro, un grande merito essa lo possiede ed è quello di tentare di riconsegnare nelle mani del magistrato l’onere della decisione, anche per quanto concerne le incertezze di natura psicologico-giuridica.

Il mio ragionamento muove da una prima contestazione di tipo logico. Talvolta la Corte formula quesiti psichiatrici che hanno la seguente struttura: “dica il perito se l’imputato, al momento di compiere il fatto, fosse capace di intendere e di volere”. Si badi che simili quesiti vengono spesso formulati già in una fase iniziale del processo, quando ancora la giustizia pubblica non ha affatto accertato quale sia il fatto e se quell’imputato lo abbia davvero commesso. Il quesito peritale assume dunque spesso una connotazione paradossale ed intrinsecamente irrisolvibile per il perito stesso, il quale non può sapere con certezza a quale realtà egli debba fare riferimento.

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